© Marcel Burkhardt
Studiare gli effetti delle attività umane sugli uccelli
Nella nuova unità «Influenze antropogeniche », i progetti si concentrano sulle diverse pressioni che l’uomo esercita sull’avifauna. Combinando ricerca di base e applicata, è possibile sviluppare metodologie che consentono lo sviluppo di misure di conservazione più mirate.
L’estate scorsa, la Stazione ornitologica svizzera ha rivisto la propria organizzazione interna e sono state create nuove unità di ricerca, come quella incentrata sulle influenze antropogeniche, ovvero l’influenza delle attività umane sugli uccelli. Grazie a nuove competenze, sarà possibile comprendere meglio gli effetti dei disturbi di origine umana sugli uccelli. Questo tema è di grande attualità, tenendo conto del fatto, ad esempio, che in montagna o nelle zone umide i disturbi legati alle attività del tempo libero sono sempre più frequenti.
L’influenza umana può manifestarsi anche sotto forma di agenti chimici, come i numerosi inquinanti che l’uomo ha introdotto in natura negli ultimi decenni. L’esposizione degli uccelli nel loro ambiente naturale a determinati pesticidi, così come le loro conseguenze sulla salute, sono già stati oggetto di numerosi studi, come nel caso del DDT. Ma ci sono molti altri agenti ed elementi la cui presenza ed effetti sugli uccelli sono ancora poco studiati: ad esempio microplastiche, metalli pesanti o neonicotinoidi.
Mitocondri e pinguini
Alcuni dei progetti che terranno impegnati i ricercatori dell’unità nei prossimi anni riguardano il campo dell’ecotossicologia. Questa scienza relativamente giovane mira a studiare il comportamento e gli effetti degli agenti inquinanti nell’ambiente allo scopo di prevederne l’impatto sugli ecosistemi.
Questa è appunto una specialità di Pierre Bize, il responsabile dell’unità «Influenze antropogeniche »: i suoi precedenti studi presso l’Università di Aberdeen, in Scozia, si sono concentrati sulla funzione mitocondriale. A livello cellulare, i mitocondri possono essere considerati una centrale energetica: trasformano l’energia ingerita con il cibo in energia che può essere utilizzata per la crescita, la riproduzione e la sopravvivenza. Producono anche rifiuti sotto forma di stress ossidativo, cioè un attacco alle cellule da parte dei radicali liberi, frammenti di molecole associati all’invecchiamento. Studiare le differenze di resa permette di capire, ad esempio, perché alcune specie vivono a lungo e hanno pochi piccoli, o al contrario perché alcune hanno un’aspettativa di vita inferiore, una crescita più rapida e un maggiore tasso riproduttivo.
Le ricerche di Pierre hanno portato allo sviluppo di un metodo per studiare la funzione mitocondriale in modo non invasivo. Il nuovo protocollo non si basa più sulla raccolta di tessuti, ma sulla presenza di mitocondri nei globuli rossi degli uccelli. Questo protocollo è stato applicato, tra gli altri, al pinguino reale, per verificare se la specie presentava un adattamento per mitigare gli effetti dell’esposizione a fattori di stress. I risultati mostrano che i meccanismi protettivi come la regolazione al rialzo delle difese antiossidanti e la diminuzione dell’efficienza mitocondriale consentono al pinguino reale di far fronte a un ambiente stressante.
Impatto del mercurio sul Merlo acquaiolo
Per quanto siano appassionanti, i pinguini non sono nella lista delle ricerche della Stazione ornitologica svizzera. Uno dei progetti su cui il team di Pierre sta lavorando riguarda una specie molto più locale, ma altrettanto carismatica: il Merlo acquaiolo. In questo caso si tratta di ricerca applicata e degli effetti antropogenici su una popolazione naturale: in che modo gli inquinanti chimici perturbano la funzione mitocondriale, modificano la resa, influenzano il tasso di crescita o il successo riproduttivo?
Prima di andare avanti, è essenziale considerare i diversi tipi di inquinanti, che non si accumulano allo stesso modo negli organismi e non hanno le stesse conseguenze in termini di persistenza e dinamiche. Il primo passo della ricerca è quindi quello di effettuare misurazioni per identificare quali agenti inquinanti sono presenti nell’ambiente che vogliamo studiare e poi localizzarli nella specie interessata – in questo caso il Merlo acquaiolo.
Il progetto, in collaborazione con il Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS), si concentra sulle popolazioni di Merlo acquaiolo in Alta Savoia F, dove da diversi anni esiste un monitoraggio intensivo della specie, e si interessa alla presenza di un metallo pesante, il mercurio. Le misurazioni hanno mostrato che non tutti i fiumi sono esposti al mercurio allo stesso modo; ciò permette di confrontare le diverse popolazioni di Merlo acquaiolo. Oltre all’esposizione del territorio al mercurio, vengono presi in considerazione altri fattori, come la differenza tra i sessi. In effetti, le femmine evacuano le tossine con le uova, ma allo stesso tempo le trasmettono alla loro prole, fenomeno chiamato effetto transgenerazionale.
Gli obiettivi del progetto sono molteplici: dal lato della ricerca di base, la possibilità di esporre direttamente i globuli rossi agli inquinanti «in vitro» (cioè in laboratorio) consente di effettuare una selezione per identificare direttamente le molecole che hanno un effetto sugli uccelli, e quindi di trasferire i risultati ad altre specie, senza dover effettuare costosi monitoraggi di popolazione. Dal punto di vista della conservazione, questo ci permetterà di comprendere meglio gli effetti degli agenti inquinanti sugli uccelli e di mettere in atto misure per proteggere il Merlo acquaiolo.
Inquinamento luminoso, ondate di calore e altro ancora
Queste ricerche devono portare anche ad altri progetti e le idee non mancano. Lo studio delle interazioni tra uomo e uccelli, ad esempio, sarebbe una logica continuazione del progetto sul Merlo acquaiolo. La specie è infatti un candidato ideale, poiché offre opportunità di confronto: alcune popolazioni vivono in città, altre in aree molto più distanti dall’uomo; alcune accettano cassette nido, mentre altre non le degnano di uno sguardo. Un potenziale da sfruttare!
Un altro progetto dell’unità riguarda l’inquinamento luminoso. Mentre i suoi effetti sugli uccelli migratori sono ben documentati – è noto che può disorientare i migratori notturni – molto resta da chiarire per quanto riguarda i cambiamenti di comportamento su scala locale. Il Barbagianni è la specie perfetta a questo scopo: non solo la Stazione ornitologica dispone di specialisti e di un monitoraggio di lunga data della specie, che offrono buone condizioni per la raccolta di dati, ma la specie è anche notturna e vive in prossimità dell’uomo. È quindi direttamente interessata dall’inquinamento luminoso. Grazie a queste buone condizioni quadro, il progetto permetterà di ottenere una migliore comprensione degli effetti dell’inquinamento luminoso sulla specie.
Anche lo stress termico è un tema attuale su cui Pierre Bize vorrebbe chinarsi, poiché le ondate di calore sono ormai la norma nelle estati svizzere. Il Centro di cura della Stazione ne sa qualcosa: durante il periodo di nidificazione, le nostre équipe accolgono un gran numero di rondoni caduti dal nido a causa del caldo soffocante sotto i tetti.
Infine, anche l’esposizione alle microplastiche e le sue conseguenze sono un argomento che interessa l’unità «Influenze antropogeniche». In questo contesto, un aspetto importante del progetto, oltre alla ricerca, è la messa in rete con diversi partner e la creazione di un gruppo di lavoro internazionale. Questo approccio è essenziale per garantire la posizione della Stazione ornitologica quale istituto scientifico riconosciuto in Svizzera e a livello internazionale.